Che un cane, di qualsiasi razza esso sia, debba essere predisposto all'apprendimento e quindi all'obbedienza, è un requisito minimo logico perché possa condurre una vita sociale, pena l'essere relegato in un angolo del giardino e pressoché ignorato. E di questo, ho la netta sensazione che un Bobtail ne abbia una qualche consapevolezza.
Nella parte "Merseybeat
- Bobtail perché
." ho raccontato di Charlie,
il mio primo Bobtail e primo cane in assoluto, di come da insicuro e quindi
mordace, sia diventato un Bobtail sereno e affidabile, di come questo sia
stato possibile grazie ad un percorso educativo per entrambi.
Non ho però detto che Charlie è stato addestrato, oltre che
ad eseguire i normali esercizi di obbedienza (condotta con e senza guinzaglio,
seduto, terra, resta, resta a distanza, resta a tempo, richiamo, vieni a distanza,
riporto, ostacoli e palizzate, indifferenza agli estranei, indifferenza allo
sparo, ecc.) anche alla pista e agli attacchi, da fermo, lanciati e con ricerca
del figurante. In pratica, i primi brevetti a cui sono ancora sottoposti i
cani da lavoro, Pastore Tedesco in primis. Qualcuno arriccia il naso per l'addestramento
a mordere? In linea di principio, sono perfettamente d'accordo. Provo un profondo
e naturale disprezzo per coloro che confondono i cani con un'arma potenziale,
fosse anche "solo" con l'idea della "difesa personale".
Nel caso dei problemi di Charlie, addestrarlo a mordere è risultata
la soluzione più rapida (si parla, comunque, di teorie di 24 anni fa!)
e rivelatasi vincente : bisognava renderlo sicuro di sé e delle proprie
potenzialità e, in quest'ottica, insegnare ad un cane ad usare correttamente
la propria bocca, è il modo migliore perchè non la usi più
a sproposito. Comunque, su questo argomento ci torneremo in modo più
approfondito in un altro capitolo.
Stavamo parlando di addestramento all'educazione e di come imparare ad interagire con il proprio cane. Una cosa è certa: più tempo gli si dedicherà, maggiore sarà la sua attenzione e sensibilità nei nostri confronti, più gratificante sarà il nostro rapporto, perché noi capiremo sempre meglio le sue esigenze e lui imparerà a soddisfare le nostre. Si può parlare di obbedienza? In senso riduttivo e superficiale, forse si, perchè non credo si possa parlare solo di obbedienza in presenza della sua chiara volontà di compiacere.
Non a caso, quando Charlie combinava qualche "marachella", tipo potature di arbusti e fiori, ispezione e spargimento delle immondizie, mentre lo rimproveravo, cercava subito di distrarmi, dirottando la mia attenzione su qualcosa per cui precedentemente lo avevo lodato. Non però gli esercizi "da addestramento", ma qualcosa che si era inventato da solo e per cui avevo dimostrato entusiasmo, tipo spostare e sedersi su una sedia (come nella foto). Non solo, ma quando imparava un "esercizio" nuovo e inusuale (come camminare su una passerella a causa della gettata di cemento fresco davanti alla porta di casa) tutto felice lo mostrava immediatamente anche a mio marito, quando rientrava, al solo scopo di prendersi un'altra abbondante dose di complimenti. Questa non si può chiamare obbedienza e non la si ottiene certo grazie ai famosi "bocconcini" di premio. |
Questa è gioia di vivere, intelligenza, adattabilità.
Oppure le sere in cui a casa nostra si riuniva il gruppo musicale per le prove. Erano amici, erano di casa, arrivavano, parcheggiavano, aprivano il cancello senza suonare, percorrevano il vialetto fino al gradino della porta di ingresso, entravano scavalcando l'addestratissimo Charlie, quello che al campetto faceva gli attacchi lanciati pieno d'impeto, che nemmeno si degnava di alzare la testa, sdraiato sullo zerbino. Il massimo della sopportazione fu quando una persona con notevoli problemi di vista, che accompagnava uno degli amici abituali, ci si pulì sopra le suole delle scarpe, scambiandolo per un voluminoso tappeto.
Oppure Tappo, l'altro mio maschio di qualche anno dopo. Lui non era addestrato e mai mi son sognata di farlo, come tutti i miei cani successivi a Charlie. Anche lui "inglese doc", intelligentissimo come solo i cani di linea inglese son riuscita a vedere, aveva un amore, ricambiato, per una mia amica, minuta e alta si e no un metro e mezzo. Altro che obbedienza, era lui che guidava il rapporto! Voleva essere coccolato e lei invece perdeva troppo tempo a chiaccherare con me? Nessun problema! Un morsino sul sedere, giusto per attirare la sua attenzione e metterla in moto, la afferrava con la bocca per una mano, la tirava fino al divano, la sistemava per bene davanti, con le zampe sulle spalle la costringeva a sedere e soddisfatto le si draiava accanto con la testa sulle ginocchia .
Diceva Lorenz, il padre dell'etologia "in un cane, la perdita di istinto,
o, meglio, di reazioni istintive, è la porta aperta verso l'intelligenza".
Studi recenti sono tesi a dimostrare che un cane sappia abbinare il corretto
significato a circa 200 vocaboli, moltissimi, se si considera che normalmente,
per comunicare, noi ne usiamo sui 300. I nostri Bobtail, da tutti definiti
allegri, vivaci, disponibili e gran "pagliacci", penso siano una
prova vivente di tutto questo ed ecco perché trovo particolarmente
sciocco usare con loro un qualsiasi manualetto da addestramento in cui le
parole sottomissione, dominare, far valere la propria autorità, sono
ricorrenti.
Mi suona tanto come un Bignami per aspiranti generali dei marines.
Perché mai un cane e, nello specifico un Bobtail, dovrebbe seguire
le nostre esigenze, cioè "obbedire"? Semplicemente perché
lo mettiamo nella condizione di riconoscere la nostra autorevolezza.
Certo, è un percorso più articolato e impegnativo, perché
l'autorità si impone, l'autorevolezza la si deve conquistare, ma può
essere un esercizio utile, anche per migliorare il nostro comportamento, e
non solo con i nostri cani.
Il vero rispetto lo si conquista, non lo si impone, mai, perchè a quel
punto non sarebbe più rispetto, ma paura. E la paura ha effetti collaterali
incontrollabili.
©18/11/2005: se ne vieta la riproduzione anche parziale
senza autorizzazione