Il mio non fu un incontro particolare, con sfondi
di bucoliche campagne londinesi o foto patinate
.
A dirla tutta, non mi piacevano i cani, in generale. Mi paralizzava il loro
muoversi, mi dava fastidio il loro pungente odore. Li rispettavo, come rispettavo
leoni, gazzelle, camosci
a casa loro.
Ero giovane, educata in modo convenzionale, ogni cosa
al suo posto, un posto per ogni cosa
Nel mio futuro ci sarebbe stata una laurea in Fisica Pura (all'epoca quel
ramo si chiamava così, chissà se esiste ancora) e una carriera
da ricercatrice (la mia predisposizione innata), chiusa in qualche oscuro
laboratorio.
Era la fine degli anni settanta e passeggiavo per la signorile Piazza dei Signori a Padova, che di signorile aveva solo l'architettura, abitata com'era a tutte le ore da gruppi di quei freak che hanno caratterizzato quegli anni. Non ricordo altro di quel giorno, solo quella guizzante palla di pelo lungo, bianco e grigio che svolazzava all'inseguimento di una pallina lanciata chissà dove. Non ricordo per quanto tempo rimasi ad osservarlo, non ricordo nemmeno con chi fosse. Fu solo qualche tempo dopo, seduta al tavolino di quegli squallidi bar tutti di formica frequentati da noi giovani, squattrinati ma con il mondo in tasca, che parlando con il mio ragazzo di allora esordii senza nemmeno rendermene conto "se mai dovessi avere un cane, ne vorrei uno come quello peloso bianco e grigio che abbiamo visto". Non sapevo nemmeno che nome avesse la sua razza. Sergio, lui sì che lo sapeva. Lui amava i cani, gatti, le rane e anche le formiche. Lui da piccolo era vissuto in aperta campagna circondato da "bestie" di tutti i tipi, lui era un po' "alternativo", un po' artistoide, un musicista Mi disse che era un Bobtail, che era di origine Inglese e che era un cane da snob (come lo ero io), che tutti i cani di razza lo erano, vuoi mettere i bastardini. Punta sul vivo, non mi lasciai smontare, discutemmo a varie riprese sull'argomento, ci facemmo entrare di tutto, etica, politica, lotta di classe, psicologia deviata, ambientalismo, razzismo. Più ne parlavamo, più si rafforzava la mia determinazione: non volevo un cane, volevo veramente un Bobtail!
E venne una sera di marzo, sempre in uno di quei soliti bar
un po' imbarazzato
lui mi disse che da mesi si stava informando, che aveva telefonato a mezza
Italia, ad allevatori, negozianti, aveva mobilitato amici che avevano cani
per raccogliere informazioni. Conclusione delle sue ricerche: rimaneva dell'idea
che era da snob desiderare un cane del genere, aveva trovato dei cuccioli
disponibili presso un allevatore (che solo poi scoprimmo essere tra quelli
storici italiani), che però voleva un prezzo esorbitante, a dimostrazione
che lui aveva ragione
Che mai nella sua vita avrebbe acquistato un cane
in un negozio, anche se costavano meno, che un nostro amico aveva saputo di
una pensione per cani che vendeva un Bobtail giovane di un cliente che voleva
disfarsene. Per farla breve, avrebbe desiderato farmi una sorpresa e presentarsi
con un cucciolo di Bobtail per il mio imminente compleanno, violentando le
sue convinzioni, ma quando aveva saputo del giovane che cercava casa
mi
poteva andar bene il compromesso Bobtail si, ma opera buona annessa, così
si salvava la coscienza, e al diavolo la sorpresa? Fissammo l'appuntamento
della "presa in visione" per la sera dopo, un giovedì. Il
nostro amico ci portò in un posto infame, in cui un becerone aprì
la porticina di una specie di porcilaia (un scatola di cemento di due metri
per uno, alta un metro e mezzo, senza finestre) da cui balzo' fuori una massa
aggrovigliata di qualcosa che sembrava pelo giallo, grigio e rossastro, che
immediatamente posò le zampe sulle mie spalle tentando di baciarmi
sulla faccia, ignorando tutti gli altri. Dopo due minuti era già ricacciato
dentro, con delle zampe di pollo come esca, lanciate su uno strato di paglia
imbevuto di feci e urina. Il Bobtail in questione aveva un anno e mezzo, aveva
cambiato tre padroni, era già stato in altre due pensioni tra un padrone
e l'altro, viveva in quell'incubo da sei mesi, in attesa di una collocazione.
Il sabato mattina seguente, alle otto in punto, eravamo già al cancello
di quel posto: ci eravamo presi giusto un giorno per organizzarci.
Era il 21 marzo 1981 e quello fu l'anello di fidanzamento di colui che ora
è mio marito.
A Charlie, dobbiamo tutto. Era denutrito, piagato, con l'entropion, reagiva
a qualsiasi nostra richiesta tentando di mordere. Lo portammo a tosare, lo
portammo dal veterinario, lo rimettemmo un po' in forze, fu operato agli occhi,
fu ri-operato (la non conoscenza ti porta anche a scegliere veterinari incapaci),
gli rimisero i punti non so più quante volte. Fu il peggior affare
della nostra vita. Tra l'acquisto (o è meglio dire il riscatto) e i
due interventi, ci costò in pochi mesi tre volte il prezzo "esoso"
di quel famoso cucciolo selezionato del blasonato allevatore. Restava il problema
della gestione: di psicologia canina, come di tutto il resto d'altronde, non
conoscevamo proprio nulla e non sapevamo proprio come fare. Ci rivolgemmo
ad un addestratore, un tipo strano, scorbutico, rozzo all'inverosimile, con
un dio per conto suo, ma che con i cani ci sapeva veramente fare.
Iniziò un periodo di addestramento giornaliero, nel senso che ad essere
addestrata fui io. Lavorammo sul tono di voce, sulla gestualità, sul
modo di rapportarsi. Gli esercizi a guinzaglio erano in realtà un pretesto
per correggere me, per impostarmi
.I risultati furono rapidi e stupefacenti
e Charlie diventò quello che un Bobtail è nella sua essenza:
un simpatico pagliaccio affidabile, pieno di iniziativa e di voglia di giocare
e di vivere per i compagni umani.
Furono anni strani, quelli, i miei studi universitari languirono tristemente, troppo presa dalla necessità di contribuire alle folli spese per Charlie e dalla voglia famelica di saperne di più su questo universo strano, affascinante e per noi sconosciuto. Lasciammo perdere tutto e la nostra vita cambiò radicalmente. Non più vagabontaggi nei circuiti pseudo-intellettuali, ma lunghe passeggiate su argini erbosi, non più serate chiusi nei cinema da appassionati cinefili ci trasformammo in altrettanto appassionati cinofili, tralasciando amicizie con cui ormai avevamo poco da spartire. Il campetto di addestramento, con annessa pensione e allevamento di Pastori Tedeschi, divenne la nostra seconda casa. Da un lato c'era l'addestratore, grezzo, generoso ed istintivo, dall'altro la sua compagna, così diversa: colta, preparata, abile giocatrice con le parole e le argomentazioni. Di lì passò molta dell'intellighenzia Sassaiola, dato che era una Sezione SAS (Club del Pastore tedesco) e lei era responsabile di allevamento a livello Regionale, quando la SAS era una potenza che faceva tremare l'ENCI. Lì si parlava di selezione, di linee di sangue, di tare ereditarie, di genetica, di psicologia canina, di addestramento. Lì capii veramente che la passione è una cosa, la competenza un'altra. Che essere cinofilo non significa nulla senza un effettivo spessore culturale, che si ottiene solo con un paziente e umile lavoro di ricerca e di osservazione.
Bene, ora iniziavamo ad essere pronti per
fare il salto di qualità. E cercammo un Bobtail "serio",
che portammo a casa a fine luglio 1983. Una bella femmina sana di un prestigioso
allevamento italiano poteva essere un'ottima partenza per iniziare a "divertirci"
un po' con le esposizioni e altre amenità.
L'illusione durò poco, già a febbraio scoprimmo che la nostra
giovane speranza era displasica e il mondo ci crollò addosso. A maggio
ci presentammo al Raduno annuale della SAPI (così si chiamava il Club
del Bobtail a quel tempo), con il morale sotto ai tacchi, per l'insistenza
dell'allevatore "che non poteva credere che il difetto fosse così
visibile
". E aveva ragione. Nonostante una toelettatura improvvisata
la mattina a bordo ring, con spazzole e prodotti chiesi in prestito ad altri
sconosciuti espositori (il nostro livello di demotivazione era al punto di
presentarsi ad un Raduno senza nemmeno una spazzola), Crazy vinse la sua classe,
con i complimenti del giudice straniero specialista, che si congratulò
per l'ottima presentazione (di Sergio) e l'ottimo movimento (di Crazy). E
quello fu il primo di una serie di dignitosissimi risultati in esposizione,
esposizioni a cui decidemmo drasticamente di smettere di partecipare il giorno
stesso di un "Migliore di razza" su Bobtail che successivamente
chiusero il titolo di Campione Italiano. Risultato ottenuto grazie al movimento
che, a detta del giudice "era nettamente superiore a quello di tutti
gli altri". Ed effettivamente era stato un piacere vederla trottare,
dentro al ring, in scioltezza con la testa al vento, mentre gli altri caracollavano
incapaci di sostenere il suo ritmo
.
Già la displasia
.altro mondo sconosciuto
per noi e, scoprimmo
con enorme sorpresa, anche per la Società Specializzata del Bobtail.
Ci rimboccammo le maniche e partimmo, come ormai nel nostro stile, a testa
bassa. Ci informammo sulle metodologie in Italia e all'estero, scoprimmo dell'esistenza
della centrale di lettura ufficiale per il controllo in Italia, del protocollo
FCI, delle procedure per il riconoscimento, andammo a parlare varie volte
con il Dott.Pareschi, il fautore del progetto in Italia
Con un dossier alto 10 cm., trovammo in Roberto
Arcion, allora Vice-Presidente del Club, oltre che un amico, anche un sostenitore
all'interno del Consiglio Direttivo. Scoppiò l'inferno
fino all'approvazione
definitiva da parte dell'Assemblea dei Soci del Club. La SaaPI fu così
la quarta razza, dopo Pastori Tedeschi, Boxer e Debermann, ad aderire al protocollo
per il controllo ufficiale della Displasia dell'anca, e ancora, fra le tante
cose che abbiamo realizzato in seguito, è sicuramente quella che ci
rende più orgogliosi.
Chiuda la parentesi, torniamo a noi. Bloccati i sogni di gloria (un Bobtail
con l'entropion, l'altra displasica), continuammo i nostri studi di approfondimento.
Iniziarono così i pellegrinaggi al Cruft's Dog Show, a Londra, la più
prestigiosa manifestazione cinofila, insieme a Westmister, in America. E qui
si aprì il mondo
Un libro, per raccontare i Bobtail Inglesi degli
anni ottanta, non basterebbe. Era un qualcosa che ti sconvolgeva, ti riempiva
gli occhi e la mente, tanto più perché tra quello che si vedeva
in Italia e loro, c'era l'abisso
Il viaggio annuale a Londra, agli inizi
di febbraio, diventò così un'abitudine: Un giorno dedicato al
ring dei Bobtail, un altro per vedere tutti i banchetti che vendevano qualsiasi
tipo di oggettistica "canina", gli altri 5 per visitare Londra,
vedere i concerti di cui si sentiva parlare solo alla televisione, passare
da un Pub all'altro dove si faceva musica dal vivo
Il massimo lo raggiungemmo
nel 1987, quando fissammo la data del nostro matrimonio solo dopo aver saputo
quella del Cruft: ci ritrovammo così a fare il viaggio di nozze con
altri 15 Bobtailers, con cui dividemmo tre appartamenti in affitto nel cuore
di Londra.
Così, se l'anello di fidanzamento era stato un Bobtail, poteva esserlo anche quello di matrimonio, ora che avremmo avuto una casa tutta nostra e avremmo potuto crescere in famiglia senza urla dei rispettivi genitori e tanta scomodità. Con l'occasione di avere a disposizione il fior fiore degli allevatori Inglesi, ci mettemmo nella "lista d'attesa" di un allevatore emergente (e caspita se di strada ne ha fatta negli ultimi vent'anni!!!). Ma le cose non vanno mai come le programmi, e questa volta possiamo dire per fortuna! Fu così che, solo per curiosità e voglia di capirne di più sui cuccioli, seguimmo da vicino la nascita e la crescita della prima cucciolata di Robi Arcion, frutto dell'accoppiamento tra una figlia della mitica Campionessa Inglese Pelajilo Milly Mistletoe, e CH. Amblegait Adnams-Ale, di linea Barnolby-Rollingsea, importato dall'Inghilterra da Igor Skrap, nell'allora Yugoslavia. E fu amore. Alla fine decidemmo di portarci a casa quella cosina che ci aveva tanto colpito a 15 gg. d'età, e che crescendo si rivelava essere piccola, viziata, pestifera, rompiscatole .e bella da morire.
........Continua.....